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N O T E B I O G R A F I C H E
tra il serio e il faceto...
"..Quand'è che ti troverai un lavoro serio?" (mia madre)
"Che lavoro fai? - Il musicista..- ...si, vabbene, ma per lavoro che cosa fai?" (molti)
Questa pagina è scritta per chi ha deciso di dare una sbirciatina a quella che può essere la vita e la formazione di un musicista nel campo della musica leggera.
"Una delle poche cose di cui sono certo è che faccio il musicista perchè mi hanno rubato una bicicletta. Tutto ha un'origine. Magari se mi versavo addosso una minestra bollente facevo il salumiere.
Quando avevo undici anni, proprio mentre i miei genitori mi stavano per comprare una bicicletta nuova fiammante (dopo il furto subito) mi innamorai di un'organo elettronico, una piccola tastiera con quattro registri e quattro ottave. Li convinsi che avrei preferito quell'organo al posto della bici (abitavo a Venezia, e c'era ben poco da girare...). Così, quella che poteva essere un'infatuazione passeggera, una volta spesi i soldi, diventò uno degli oggetti più ingombranti della sala di casa mia. E per coerenza, andavo a suonarci ogni volta che avrei voluto fare un giro in bicicletta (che ricomprai solo a trentun'anni, ma me la rubarono immediatamente)."
"Fare il musicista è bello. Dover campare facendo il musicista non lo è sempre. Ma tutti cominciano per passione. A casa mia c'era solo quel piccolo organo elettronico, non c'era la voglia o i soldi per pagarmi un'insegnante, che tanto "prima o poi mi sarebbe passata...". A dieci anni mi resi conto che ogni melodia poteva partire da qualsiasi tasto e suonare pressochè identica. Mi ricavai con carta e penna, dodici scale (per molti anni pensavo fossero una mia invenzione). All'inizio le diteggiature erano in realtà complesse coreografie nelle quali ruotavo anche i fianchi. Poi rispolverai un vecchio magnetofono geloso e registrai tutto quello che sapevo fare. Ero capace di far durare un giro di basso per otto-dieci minuti, poi quando mi stufavo abbassavo lentamente il volume e alitando vicino al microfono tentavo di imitare il pubblico da stadio."
"A quattordici anni la passione incominciò a farsi viva. Nell'adolescenza, suonare diventava anche un modo per distinguersi. Qualche volta misi di nascosto una cassa acustica dell'impianto in terrazzo e collegai all'ingresso il mio organo. Impazzii letteralmente quando ascoltai la prima volta John Lord dei Deep Purple in "Made in Japan" e Keith Emerson in "Trilogy". E poi a seguire gli Yes, i Genesis, i Jethro Tull, il Banco Del Mutuo Soccorso e la P.F.M."
"A quindici anni, un gruppo di giovani ragazzi di un paesino disperso in un'isola di Venezia mi sentì suonare. Avevano già un tastierista, ma tentai di impressionarli con la velocità. Non avendo un pianoforte, con tutte le sue possibilità espressive, avevo sviluppato solo quella. Riuscii ad impressionarli e mi vollero con loro, come tastierista aggiunto. Dopo tre mesi facemmo un concerto a pagamento, dove vennero tutti i nostri amici, al cinema di un patronato locale. Fu un concerto indimenticabile! Dopo un po' la platea sembrava drogata: urlavano, non avevano pace, chiedevano bis, tris, ... Dopo qualche anno scoprii che la platea era realmente drogata. Io mi ero vestito come Keith Emerson, mi ero fatto prestare foulards, bracciali in cuoio e stivali verniciati, mi muovevo come lui (anche se in realtà non sapevo bene come si muovesse) e suonavo a velocità vertiginose e malissimo "Honky Tonky Train Blues" insieme ad altri brani da me inventati. Eravamo diventati un piccolo fenomeno di un ancor più piccolo paese, Malamocco. Ma quindici anni dopo venni a sapere che di nascosto, altri musicisti più conosciuti della nostra isola erano venuti ad ascoltarci"
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"il mio più grande problema era non poter avere a casa un pianoforte, come invece avevano la maggior parte dei tastieristi. Per tutta l'adolescenza, ogni estate andavo a lavorare come barista in vari locali per poter comprare strumenti più grandi, poi facevo parte di gruppi locali ma in pratica non andavo quasi mai a suonare con loro perchè avevo bisogno di studiare su uno strumento e non era facile trovare qualcuno disposto ad aiutarmi quando spostavo il pesantissimo organo da casa mia alla sala prove. Ho militato per dei mesi interi in formazioni senza fare un concerto, o addirittura una prova. Ma a loro bastava che io facessi parte della formazione, anche idealmente."
"A diciassette anni, dopo aver sacrificato tutte le estati per lavorare come barista, riuscii finalmente a comprare il mio primo pianoforte. Avevo dovuto vendere il mio unico organo a due tastiere e non potevo più suonare con nessun gruppo. I miei genitori, visto il mio impegno e la passione, con molta fatica e tramite delle amicizie, riuscirono a farmi avere un'audizione al conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. Sapevo di essere un pò grande per cominciare e di non aver preso mai una lezione di pianoforte, ma pensavo di essere particolarmente dotato e di avere una passione fortissima che mi avrebbe aiutato in ogni sforzo. Il Professor "xxx" non volle nemmeno ascoltarmi. Disse che avrei potuto suonare giusto per divertirmi la domenica con gli amici. Insistetti perchè mi ascoltasse, finché non mi disse di preparare tre brani a mia scelta dal "Gradus ad Parnassum" del Clementi, che avrebbe voluta sentir eseguiti da me un mese dopo. Quando, un mese dopo, estenuato per lo studio (frequentavo anche un istituto tecnico che mi impegnava otto ore al giorno) ed emozionatissimo, entrai nella sua stanza al conservatorio, rimasi interdetto: non mi volle ascoltare, mi ripeté che dovevo lasciar perdere e mi liquidò dicendo che aveva altri impegni. Forse è anche grazie a lui che ora faccio questo lavoro."
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"Suonai per molto tempo con un ragazzo che divenne con gli anni un mio grandissimo amico, Renzo Zulian. La prima volta che me lo presentarono ero un suo fan. Lui suonava da molto tempo in una formazione tra le più importanti dell'isola, ed era senz'ombra di dubbio un personaggio sul quale giravano molte leggende metropolitane. Poi cominciai timidamente a trovarmi con lui per realizzare dei brani in stile medioevaleggiante, come i Gentle Giants. Infine entrai nel suo gruppo. Renzo era dotatissimo: suonava un sacco di strumenti, era passato dalla chitarra al basso poi al sax passando per flauto, sitar e chissà quanti altri. Inoltre lavorava presso il negozio di dischi di suo padre, e questa era una cosa molto stimolante perchè era sempre aggiornato. Era decisamente un folle, e negli anni facemmo un sacco di cose insieme, dalle composizioni medioevaleggianti, i brani di jazz-rock sperimentale, i concerti heavy metal, fino ai gruppi "immagine" degli anni ottanta, in totale playback e con tanto di fard, fondotinta e rossetto come si usava allora. Poi un giorno accompagnò la sua fidanzata (che voleva assolutamente sfondare) ad una lezione di canto, ebbe un diverbio con l'insegnante (riguardo l'estensione vocale massima di un uomo) e per dimostrarlo diventò un bravissimo un cantante lirico. Si è sposato in Giappone con una cantante ed è costantemente in tour in tutto il mondo."
"A diciannove anni, secondo anno d'università e il militare alle porte, da un gruppo locale mi venne proposto di suonare per un capodanno. Si trattava di imparare a suonare centodieci brani tra cui un sacco di cose che odiavo, brani di liscio e marcette! Fu un passo difficile, suonare cose che non mi piacevano, per me che avevo sempre suonato solo quello che mi andava (Emerson, Wakeman, Chopin, Mussorgsky...). Ma ero fidanzato con una cantante di Roma (anni dopo avrebbe avuto un buon successo con lo pseudonimo di Belen Thomas, e anche se la storia è finita lavoriamo ancora insieme) che mi convinse ad accettare, e studiai quelle maledette canzoni per due settimane, otto ore al giorno. Feci il Capodanno a Jesolo, e tra prove, trasporto strumenti e suonare, fu decisamente massacrante. Alle otto di mattina bevvi un caffe sestuplo quando mi accorsi che mi bastavano chiudere gli occhi per sognare, mentre in realtà mi trovavo in piedi su un traghetto per riportare gli strumenti a casa."
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"Il gruppo con il quale suonavo precedentemente, gli Ar'kins (con il polistrumentista Renzo), pur non ammettendolo apertamente mi consideravano un mezzo traditore. Con loro componevo e registravamo brani di Jazz-Rock sperimentale, con influenze dei Weather Report, e sapere che avevo portato via gli strumenti per suonare "My Way" di Frank Sinatra e altre cose simili non era tanto ben visto. Ma quando la formazione con la quale suonai a capodanno mi propose di suonare in un Night Club per un mese di fila, accettai volentieri l'esperienza. Avevo inoltre la possibilità di guardarmi le spogliarelliste nell'intervallo."
"Dopo quel mese in un Night vicino ad Abano Terme, arrivarono altri piccoli ingaggi e una proposta di sei mesi come orchestra per il Casinò del Lido di Venezia. Erano sei mesi di seguito, non un giorno di festa o di assenza, tutte le notti! Significava dire addio alle sbronze, feste e bagni al chiaro di luna, ma riuscii lo stesso, qualche giorno, a divertirmi come un pazzo. Per esempio, una sera, prima di andare a suonare, andai ad un pigiama party organizzato a casa di una nostra amica. Sul più bello, alle dieci in punto scappai al lavoro, ubriaco fradicio. Ricordo solo che ad un certo punto della serata, scivolai dalla sedia e mi ritrovai seduto sul pavimento sotto il pianoforte elettrico. Inutile descrivere come ho suonato quella sera, ed inutile pure raccontare che dopo quattro ore di musica, ritornai al pigiama party."
"Dopo quei sei mesi al Casinò, avevo finalmente raggranellato un pò di soldi, ed avevo inoltre un pianoforte, un fender Rhodes, un CP70,un Godwin archi, un sinth Yamaha CS30, un registratore tascam 4 piste, una Roland DR606 e e il mitico Bass Line 303. Salutai tutti e partii per Roma con tutti i miei strumenti, per trasferirmi a casa della mia fidanzata. Insieme avremmo fatto tutto il possibile per suonare, comporre e diventare famosi. A Roma, dopo tre o quattro mesi di piccoli lavoretti e tentativi rozzi di inserirmi, realizzai due canzoni con il quattro piste, le feci cantare e piacquero ad un produttore. Mettemmo in piedi subito una formazione - i "Plustwo" - , formata da due uomini e due donne (con la mia fidanzata di allora Antonella "Belen Thomas", sua sorella Marina e il mitico Renzo). Ci fecero un contratto discografico che firmammo senza nemmeno leggere. Tutto sommato andò abbastanza bene: la canzone divenne sigla di una trasmissione di sessantaquattro puntate e andammo in televisione per cinque o sei volte. La Ricordi pubblicò il disco in così poche copie e così tardi che noi stessi non riuscimmo mai a trovarlo in un negozio - ora è diventato una rarità ed è quotatissimo nel mercato dell'usato -. Ma era un'esperienza spettacolare! Sentire in radio e in televisione la mia canzone, sapere che ti stanno guardando in diretta nove milioni di spettatori (la trasmissione era la mitica "Pronto Raffaella")! Ricordo che, usciti dallo studio in via Teulada andammo con gli stessi allucinanti vestiti e con lo stesso trucco in via del Corso, per vedere se qualcuno ci riconosceva. Purtroppo nella discografia i soldi sono pochi a meno che le vendite non siano alte, e i soldi spesi furono più che quelli guadagnati."
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"Mentre ancora il brano "Melody" era sigla di una trasmissione e di un periodico di attualità cinematografica, Fiorella Mannoia (che era amica della cantante del nostro gruppo) stava per portare in tour il suo secondo album e mi chiese se volevo suonare le tastiere dal vivo. E' stata il primo concerto con un'artista "vero". E alla fine della serata ero così emozionato e divertito che mi dimenticai di farmi pagare."
"Nel tour estivo con Fiorella Mannoia non facemmo tanti concerti, a causa credo di un pessimo impresario. E in autunno, quando finirono gli impegni con Fiorella, incominciai a lavorare con Peppino Di Capri. A dire il vero non era un genere che seguivo particolarmente, o perlomeno non mi dava le stesse emozioni del suonare con Fiorella. Ma, pensai, giusto qualche mese tanto per lavorare... Invece rimasi a lavorare con Peppino undici anni. Tuttavia cominciai mano mano ad apprezzare la musica napoletana. Ricordo che all'inizio portavo solo un sinth polifonico della Korg (il Polisix) e usavo come reggitastiera un bizzarro sostegno per televisore."
"All'inizio ero poco convinto di quella attività, tant'è che fui licenziato due volte, probabilmente per scarso rendimento. Poi però le cose cominciarono a migliorare, i guadagni a salire, i concerti ad aumentare. Peppino scelse di fare meno concerti in piazze e cercare situazioni più gratificanti. Ricordo ancora il primo concerto allo "Sporting d'eté" di Montecarlo, mentre suonavo in preda ad un'indigestione di toblerone al cioccolato...Cominciammo con i teatri, e poi venne la prima tournèe negli Stati Uniti. In quindici giorni, facemmo dieci concerti tra costa orientale, occidentale e Canada. Mi è rimasto impresso ancora il fatto che prima di ogni concerto, certi italoamericani ci venivano a prender in limousine e con incredibile anticipo, mentre finito il concerto ci lasciavano a piedi e dovevamo chiamare un taxi... Poi dovevamo stare attenti non declinare gli inviti a cena, se proprio non volevamo delle spiacevoli conseguenze...Quando ritornai in Italia, nella normalità della vita di ogni giorno, caddi in depressione."
"Mentre trascorrevano gli anni io lasciavo a poco a poco le altre attività extra-Peppino. I concerti erano molti, fino a 120-130 all'anno. E negli anni a venire suonammo in Brasile, in Turchia, in Inghilterra, Francia, Germania, Belgio, Svizzera....Soffrivo molto dell'aver legato quasi tutte le mie risorse a questa situazione, e ogni inverno, quando i concerti lasciavano più tempo, tentavo di realizzare piccole produzioni, pubblicità, suonare per turni o fare arrangiamenti. Ma mi rendevo conto che senza il lavoro con Peppino Di Capri non ce l'avrei mai fatta..."
"Le tournèe come quelle in Brasile erano quanto di meglio potessimo immaginare. Mentre in Italia, per risparmiare qualche lira, sceglievamo alberghi economici, lì l'organizzazione locale ci dava stanze in hotel di prima categoria, con la possibilità di mangiare quando volevamo. Inoltre la vita non costava molto e Peppino Di Capri in Brasile era famosissimo. I teatri erano elegantissimi e la musica di Peppino veniva molto apprezzata. Quando poi tornavamo in Italia, era sempre un evento traumatico: magari dovevi suonare per la comunione del figlio di un camorrista e ti davano uno sgabuzzino per cambiarti. Mi rendevo conto che quando fai musica, puoi ricevere due tipi di gratificazione: se la musica che fai ti piace, hai una gratificazione diretta. Se invece piace agli altri, la puoi avere solo tramite il successo."
"Dopo otto anni di militanza nel gruppo di Peppino di Capri ed un sacco di tentativi per rendermi autonomo da quella situazione, ebbi una grandissima crisi, iniziai a fare psicanalisi per tentare di capire cosa non funzionasse. Nell'arco di quattro mesi, la mia vita iniziò a cambiare: misi da parte la sfiducia in me stesso che avevo accumulato e iniziai a proporre le cose che facevo. Da uno-due arrangiamenti all'anno realizzati e pagati (a malapena) sino ad allora, riuscii a portarne a termine più di venti. Iniziai con la collaborazione con un piccolo studio di un produttore (Elio Palumbo) che riusciva sempre ad infilare almeno un suo artista ad Sanremo. E dopo aver realizzato i primi arrangiamenti per persone mai sentite nominare, visti i risultati e la velocità cominciarono a farmi lavorare con artisti più conosciuti (I nuovi Angeli, Gio Chiarello, Gilda Giuliani, Alberto Cheli, i Milk & Coffee...). Uno dei brani presentato a Sanremo Giovani da Giò Chiarello e da me arrangiato arrivò al secondo posto nella categoria nuove proposte ("io e il mare"), classificata subito dopo Mietta (con "Canzoni"). Peppino cominciò a darmi maggior fiducia e mi propose di arrangiare qualche sua canzone (fino all'album precedente i musicisti del gruppo non venivano nemmeno chiamati per suonare nei suoi album, in favore di turnisti molto più famosi). Nel frattempo, l'ex cantante del mio primo gruppo nonchè ex fidanzata (Belen Thomas), con una piccola etichetta chiamata Smash One, era riuscita a piazzare nelle classifiche "I MY BANDA TOCA EL ROCK" (cover di Ivano Fossati)..."
"Era andato benissimo anche il secondo singolo di Belen ("AIRE", cover di Marcella Bella), ma quando toccò al terzo brano ("SURVIVOR", dalla cover di Mike Francis) il risultato non lasciò soddisfatto il produttore. Non sapendo dove mettere le mani, mi chiamarono per chiedermi un parere. Dissi che il suono e l'arrangiamento non erano brillanti, sembrava tutto impastato e privo di slancio. Mi chiesero di mettere le mani sopra, ed io accettai a condizione di evere carta bianca sul riarrangiamento: avrei tenuto delle vecchie tracce solo ciò che ritenevo utile. Inoltre la faccenda era delicata perchè l'arrangiamento era stato realizzato da un mio amico. Lavorai per oltre venti giorni a casa mia su quel brano. Non volevo sbagliare, perchè Belen era mia amica, perchè avevo già collaborato con la Smash one, perchè il singolo precedente era andato bene e non doveva toppare..insomma per tanti, troppi motivi. Entrai in sala e chiesi di ascoltare il nastro. Delle trentadue tracce ne riregistrai ex-novo trenta, tenendo solo il piano e alcune percussioni. Poi missammo direttamente che eravamo già in ritardo, e decisi di esasperare tutti i suoni, prendendo come riferimento un remix di Alexander O'Neal che suonava benissimo. Quando finimmo, era giorno fatto e non sapevo se quell'arrangiamento e quel missaggio fosse una schifezza o un capolavoro. Il giorno dopo l'ascoltai per radio e decisi che avevo fatto una schifezza. Finì al primo posto nelle classifiche dei mix e 45 giri e arrivò seconda al Festivalbar.
Continua... (l'avventura con i tour di Renato Zero, Michele Zarrillo, Sanremo...
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